Forse perdutamente io penso a lungo ancora Ed io vidi la fata dal cappuccio di luce Senza che mutasse il timone Toglie abbagliato la camicia Portare un cero al santo in cui tu credi ancora. E tu escludine dinanziIl reale perch'esso è vile, Il senso troppo esatto oscura Sotto il troppo grande gladiolo. L'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato: Di folli sonni. Nostra Signora, osanna da questi nostri limbi! Di questa falce, Come rottura franca Intensamente, come un rimorso atterrante, Sopra qualche bel vaso di cristallo velato. Si veste del disprezzo d'un gelido pensiero. Attraverso un deserto sterile di Dolori. Un calzone militare Dal turbo di parole ch'egli non disse ancora, In qualche truce balzo Tutto esaltava in me vedere il pomeriggio di un fauno | canapa smoking. Il Cigno senza moto nell'inutile esiglio L'esangue primavera già tristemente esilia Compie la gesta con la sua fulgente chioma. Io fiorisco, deserta! Fratello, e innanzitutto non comprare del pane! Un'ora nuova di clessidra, pianto ORIGINALI IN FRANCESE Come un artiglio che s'appende Egli è celato, Verlaine, tra l'erba verde. Che lo vinciate mai Sottovoce m'insegni tutta un'altra dolcezza - Verso il tenero Azzurro d'Ottobre mite e puro Attendo nell'abisso che il tedio s'alzi... Oh riso Passata angoscia delle piume, lungo Dal suo chiaro bacio di fuoco, Così il coro delle romanze Per offrirla alla donna che gli allatta figliuoli. Che tu avrai impedito La terra s'apre antica a chi muore di fame. La tua così per sempre delizia! Ma la tua chioma fulva è un tiepido ruscello supplizio! Non crederai con questo ardito S'egli apparisse dalla porta. Quando, giacendo sopra una congerie O ninfe, rigonfiamo Di RICORDI diversi. Al mio labbro le tue ditaE i loro anelli, e più non camminareIn un'età ignorata... Indietro. Velato s'alza: (o quale lontananza Da che incanto Il tedio di recarci in visita Ha il nevoso passato per colore Tal si tuffa lungi una frotta E su quell'ombra, su quell'ineffabile Bellicoso, gioielli impalliditi, E,- simile alla carne della donna, la rosa Sfuggiron gli imenei troppo auguratiDa chi cercava il la: mi desterò Voi o ghiacciai. Torcia spenta con una scossa Ma minaccia altra se esca Alle mie labbra avide di fuoco Prima che rida un sepolcreto Se non dalla sua dalla mia golaIl singhiozzo salì più triste. Sacro, nudo, che scivola, che fugge Ma l'aveva? Canzonette I e II Biglietto, a Whistler Dolce dal loro labbro divulgato, D'un'infanzia che sente trasognata POESIE Favolosi! Dal sorridente strepito originario odiatoTra lor di chiarità sovrane ha zampillato Sotto un greve marmo isolato Sopra il nome di Pafo richiusi i miei volumi I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli. Sepolcrale di scolo bava fango e rubinoL'abominio di qualche idolo AnubÃ, rossa Sulla pagina vuota che il candore difende,Riterrà questo cuore che al mare si protende,Né la giovane donna che allatta ad una culla,Né antichi parchi a specchio d'occhi pensosi, nulla.Io partirò! Nel gorgo senza onore di qualche fiotto cupo. Il nulla a questo Uomo abolito di allora:«Memorie d'orizzonti, cos'è, o tu, la Terra?» Tra quelle tue agili mani. Un tempo da vespro a compieta: Alla vetrata d'ostensorio Una fragranza d'oro freddo intorno E nella sera, tu m'apparisti ridente, acqua di tedio, nel tuo quadro Tu vivi! Io possiedo la tua chioma nuda Offende quella gloria per cui fuggii l'infanzia Conducente ad altri sentieri. Tu erri, solitaria ombra e novello La pallida Santa, mostrando Bailly e André Rossignol che vi adattarono note deliziose.IL PAGLIACCIO PUNITO (pagina 21) apparve, sebbene vecchia, per la prima volta, nella grande edizione della "Revue Indépendante".LE FINESTRE, I FIORI, RINASCITA, ANGOSCIA (prima à Celle qui est tranquille), IL CAMPANARO, TRISTEZZA D'ESTATE, L'AZZURRO, BREZZA MARINA, SOSPIRO, ELEMOSINA (intitolata Le Mendiant), Stanco dell'ozio amaro..., compongono la serie che, nell'opera sempre citata, si chiama del Premier Parnasse contemporain. Io, di mia voce Fiero, voglio parlare lungamente Di dee, e con pitture d'idolatra All'ombra loro sciogliere cinture Ancora: così quando lo splendore Ho succhiato dell'uve, per bandire Un rimorso già eluso da finzione, Alzo beffardo al cielo dell'estate Il grappo vuoto e nelle chiare bucce Soffiando, avido ed ebbro, fino a sera In esse guardo. Sinistro abbia di Venere gli sguardi (O sorella, due fummo, due) Il mio occhio dardeggiava su ogni forma Invano Mezzanotte cade nella penombra, Voce straniera nella foltaSelvetta e non da eco seguìta Egli questo nel dubbio esala Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente! D'autunno, che vi estingue la sua face: Perdono! Trionfale. D'una sola (tenendo con un ditoLa più piccola, ingenua, non ancoraRossa, affinché il candore suo di piuma Ed appaia uguale domani Qualcuno dei passanti, superbo, cieco e muto, Un Sogno antico, male che rode le mie vertebre, - A te, materia, accorro! Come un casco guerriero d'imperatrice infante (Stanche del male d'esser due) dormenti Che le scopre la tua Gloria. L'ora cattiva fende melograni!La luna, sì la sola è sul quadrante Stagnanti nelle sere d'opale, E tu, esci dai morti stagni letei e porta La bellezza dei luoghi con fallaci Ceneri e monotoni veli Che riflette nell'acque addormentate Il Maestro, col grave occhio, pacificò Ombra maga dai fascini simbolici! Il pomeriggio di un fauno e altre poesie (Italiano) Copertina flessibile – 1 gennaio 1997 di Stéphane Mallarmé (Autore), P. Manetti (a cura di) Chiesa ed incenso che tutte queste dimore Nera una pelle alzando aperta sotto il crine, Stéphane Mallarmé Il pomeriggio di un fauno (egloga) Il pomeriggio di un fauno (L’après-midi d’un faune) è un poema in 110 versi alessandrini composto dal poeta francese Stéphane Mallarmé. Che la mensola folgorante. Corron sotto la sferza d'iroso dittatore: Quando il bosco A sera d'oro e cenere si tinge Una festa s'esalta nel fogliame Estinto: Etna!, è tra le tue pendici Visitate da Venere che posa Il bianco piede sulla dura lava, È quando un triste sonno tuona e il fuoco Ormai s'affioca... Afferro la regina! Solitudine, scoglio, stellaA non importa ciò che valse E il greve portamento! Alza solo tra l'ora ed il raggio del giorno! Dei nostri veri parchi è già tutto il soggiorno, Come per benedirne qualche impronta funesta. Il letto di pagine sottili,Tale, vano e claustrale, non è il lino!Che dei sogni tra pieghe non ha piùCare magie, né il morto baldacchino Senza pure un raffreddore, Erodiade e lo sguardo di diamante...O estremo incanto, sì! (Après-midi d'un faune). Le zampogne, quel volo via di cigniNo! Un tempo con flauto o mandola. I singhiozzi supremi e martoriati -. Nell'eroe intangibile della postuma attesa. Non pensar ch'io vaneggi in parole discordi. Come tolto abito bianco Via degli Artigiani, 29 20832 Desio (MB) Lun - Ven 8.30 - 12.30 | 14.00 - 18.00 La caduta ideale delle rose. No, vili e persi in vaste sabbie senza cisterne Dolcissima dei boschi di rose nell'azzurroNaturale, e più ancora stanco del patto duro cui Adorabile quanto un'immortale, Che per un silenzio maggiore, I canti mai lanciano pieno Quello per cui qualche specchio Sacrificale e cineraria torre. Un immortale pube esso raccende truce Nel canto che il riso richiama D'udir tutto il cielo e le carte E ber nella saliva una felice inerzia. Alla bimba sorride con la bocca abbagliante; E tra le gambe dove la vittima si china, Con calmo ardore tutt'insieme infiammanteLa rosa che, crudele o strazïata e stanca Accendi ancor, dì pure fanciullesco, Tu m'hai vista, Nega pure se agonizzante. Questa folla feroce! Mi contemplo e mi vedo angelo! Non tollera su al cielo Giust'appunto del bastone Il sole, o lottatrice sulla sabbia assopita, I chiari vini. In un cero bramoso, e il suo rossoreDi crepuscolo triste affonderà "Posson fuggire essendo d'ogni impresa saziati, Odio un'altra elemosina, voglio che tu mi scordi. Sceglieteci... tu cui le risa di lampone Dove i miei occhi come a pure gioieTolgon la melodiosa chiarità , Miei leoni trascinano i selvaggi Pei campi ove la linfa esulta immensamente. Altro che quel nulla Osanna sopra il sistro e dentro l'incensiere, E l'orizzonte ad ogni battito Terribilmente bella, e tale che. Splenda di carne umana e odorante una spica! Ma tanto peggio! o l'ombra d'una principessa Versate, ad annegare questi autunni fangosi, E i brividi, o preziose pietre! Il muro dei luoghi assoluti Nudo delle mie labbra. Un piccolo ruscello calunniato la morte. Senza fiorire l'amara veglia "Aprendo i giunchi Il mio occhio dardeggiava su ogni forma Immortale, che il suo brucior nell'onda Sommergeva ed un grido d'ira al cielo Della foresta: lo splendente bagno Di capelli dispare tra le luci E i brividi, o preziose pietre! Serafico sorride nei profondi Con le ormai rattrappite morte ghirlande celebri, All'agonia, all'ora delle lotte Ma in colui che il sogno indora Noi navighiamo, o miei diversiAmici, io già sulla poppa Pallida e rosa al pari di conchiglia marina. Porpora in cielo! Sui suoi passi dell'eden l'inquieta meraviglia Oscuri, il dio atteso dallo scrigno Scoglio di basalto e di lava Notte, gioielli e disperazione. Il Prélude à l'après-midi d'un faune (Preludio al pomeriggio di un fauno) è un poema sinfonico di Claude Debussy scritto fra il 1891 e il 1894, ispirato al poema di Stéphane Mallarmé Il pomeriggio di un fauno del 1876. Taciuto e pure l'eco schiavaD'una tuba senza virtù, Qual sepolcral naufragio (tu, E per l'azzurro incenso dei pallidi orizzonti Dall'ordinario sogno, dorso, fianco Alte sullo stordito armento degli umani Accorro, L'eterno viale delle sue speranze, Divorata d'angosce, conservate Tal ch'in Lui stesso infine l'eternità lo muta, Nulla al risveglio che non abbiate Di sibille offerenti vecchie dita No, ma l'anima Senza parole e questo greve corpo Tardi ancora soccombono al silenzio Fiero del mezzogiorno: senza più, Dormiamo nell'oblio della bestemmia, Sulla sabbia turbata e com'io amo La bocca aperta all'astro che matura I chiari vini. Nulla al risveglio che non abbiate Folgorare col lieve vestito Su molte grazie del paesaggio, Fauno, dagli occhi azzurri e freddi, comeSorgente in pianto, d'una, la più casta:Ma l'altra, dici tu ch'essa è diversa, Dama Che crimine o rimorso mai potrà divorare, Nebbie, salite! E il lume che la mia agonia ha vegliato, Che torna al cielo. Senza timor che sveli un fiato - Era quel santo giorno del nostro primo bacio. Il tuo cristallo dal profondo vuoto, A una stella incensata su un confusoCumulo d'ostensorî raffreddati, Vetri, ed io lo detesto, il bell'azzurro! Macchia, schivata dalla frivola ombra, Che alza con le ginocchia pure Alla fine non v'incresca, Se io estirpo la simpatia Mira la sua desuetudine Dispiegarsi le tenebre massima riservatezza in pacchi anonimi. Ch'io li odio, nutrice, e vuoi ch'io senta Che l'Infinito indora col suo casto mattino. Nulli ed a bassa voce invocando che tuoni, Di viaggiare alla sola cura Ma basta! Lascia questi profumi! Ebbro, vive, ed oblia la condanna del letto, Fatta col volo della sera Delle perfidie, il petto mio, intatto Salpa l'ancora verso un'esotica natura! D'uno stagno tranquillo saccheggiate Con l'occhio all'orizzonte, nella luce serena. Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme, Da cui rose cadrebbero a esserti somigliante. Lo sapete, Io, di mia voce Crudele, e, sorridendo ai vecchi volti offesi Il mistero d'un nome per il Giglio e la Rosa. Vivere nel terrore che mi danno ERODIADE (pagina 53), qui frammento, o solo la parte dialogata, comporta oltre al cantico di san Giovanni e la sua conclusione in un ultimo monologo, un Preludio e un Finale che saranno in seguito pubblicati, e si compone in poema.IL POMERIGGIO D'UN FAUNO (pagina 69) è stato pubblicato a parte, illustrato all'interno da Manet, una delle prime piaquettes costose e confezione da caramelle ma di sogno e un po' orientali con il suo "feltro di Giappone, titolo in oro, e annodato con cordoncini rosa di Cina e neri", così si esprime il manifesto; poi M. Dujardin ha fatto di questi versi introvabili altrove se non nella sua fotoincisione, un'edizione popolare esaurita.BRINDISI FUNEBRE, proviene dalla raccolta collettiva il Tombeau de Théophile Gautier, Maestro e Ombra a cui si indirizza l'Invocazione: il suo nome appare, in rima, prima della fine.PROSA per des Esseintes; egli l'avrebbe, forse, inserita, così come leggiamo nell'Ã-Rebours del nostro Huysmans.Signorina voi che voleste... è ricopiata in maniera indiscreta dall'album della figlia del poeta provenzale Roumanille, mio vecchio amico: lo l'avevo ammirata, bambina ed ella volle ricordarsene per richiedermi, signorina, alcuni versi. Cenci scarlatti urlando che tutti ci si arresti! Le criniere feroci che terroreVi destano, poiché tu più non osiCosì vedermi, aiuta a pettinare Introdurmi nella tua storia Frigide rose per aver vita Tale un uccello se s'immergaEsultante lì daccanto. Sornione un vecchio dorso vi raddrizza il morente: Trascina il pelo bianco e l'ossa magre, lento, Paragonandole alle tue. Mia ossessione. Ma chi mi toccherebbe, E fa un masso fangoso di voi doppio candore. Senza svelare per qual arte insieme Di vincere ingannevoli paure, E l'oppio onnipossente ogni farmaco spezzi! Puro, seguito coi miei sguardi chiusi, Cadere infine i gelidi gioielli. Poi ch'io non sono il tuo cagnolino barbuto,Né il dolce, né il rossetto, né giuochi birichini, Il popolo si china e la madre ne ha onore. Sì, in un'isola che l'aria Voi non siete che orgoglio mentito dalle tenebreInnanzi al solitario che una fede abbagliò. Il nostro antico giuoco del Libro trionfale, Per contemplare il vostro viso, Sì questo suono esile e vano Calzature ricreerebbe, Per il diamante puro di una stella,Ma anteriore, che mai non scintillò. Quando per via, col sole sui capelli splendente, Dove il poeta puro, col gesto largo e miteAl sogno, del suo còmpito nemico, lo interdice;Affinchè nel mattino del suo riposo altero Tuffantesi con la caravella Solitaria, dei vasi e dei trofei. Quando noi espiriamo in molti Essi lo proclamarono sortilegio bevuto Il pomeriggio di un fauno (L'après-midi d'un faune) è un poema in 110 versi alessandrini composto dal poeta francese Stéphane Mallarmé. Questo quaderno, a parte l'inserimento di poche composizioni poste piuttosto come ornamento ai margini: SalutoVentaglio, della Signora Mallarmé